S.Giovanni: quella tra il 23 e il 24 giugno è una notte carica di suggestioni.

23-06-2020 09:31 -




Nella tradizione celtica è la notte dell’impossibile, delle streghe, dei prodigi e delle meraviglie in cui tutto diventa reale ma da sempre è considerata una notte particolare perché legata al solstizio d’estate, cioè al culmine del percorso del sole nel cielo dell’emisfero nord della Terra.
La potente energia del sole è infatti in grado, secondo la tradizione, di risvegliare capacità mistiche e divinatorie che sconvolgono il delicato equilibrio tra normale e paranormale andando ad influire su ogni cosa.





Nella cultura cristiana questa notte è associata a san Giovanni, colui che battezzò (battista) Gesù sulle rive del fiume Giordano. La figura di s.Giovanni è considerata la versione cristiana di figure pagane molto più antiche, non a caso il suo culto si diffuse dall’Egitto all’attuale Turchia ed ebbe il suo centro ad Alessandria d’Egitto, che era stata la sede del Serapeum, il tempio dedicato al dio Serapide (marito di Iside, dea della luna, della fertilità e di tutto ciò che riguarda l’universo femminile). E Serapide era una divinità fluviale, una figura che Leonardo da Vinci nelle sue opere interscambia spesso con il Battista.
Lo stesso nome Giovanni (Joannes) richiama quello di Giano (Janus) la divinità pagana posta dai Romani a presidio dell’altro solstizio, quello d’inverno, cadente a fine dicembre.
Sì perché anticamente i due solstizi erano chiamati "porte”: porta degli uomini quello di giugno, porta degli dei quello di dicembre; erano entrambi momenti in cui si apriva il passaggio fra mondo reale e mondo soprannaturale. Non a caso a custodire tali porte era un dio con due facce opposte, appunto Giano Bifronte. Con l’avvento del cristianesimo il ruolo di custode delle porte solstiziali passò ai due Giovanni, il Battista per quello d'estate e l’Evangelista per quello d’inverno, celebrati in due date molto vicine ai due eventi astronomici, rispettivamente 24 giugno e 27 dicembre.




Che la notte di san Giovanni fosse pervasa da un particolare flusso magico da sfruttare per influire sull'amore, sulla fertilità e sulla fortuna era una consolidata credenza anche della tradizione celtica del nord Europa.
Lì era viva l'usanza di raccogliere erbe in questa notte ma rigorosamente dopo la mezzanotte e assolutamente prima dell'alba; le donne a gruppi, chiamati proprio “gruppi di Streghe”, si recavano con le lanterne nei boschi ritornando all'alba col loro raccolto che poi mettevano ad essiccare nei giorni successivi. Il rituale era completato preparando un sacchetto con alcune di tali erbe, guarnendolo con un nastro rosso e gettandolo in un calderone o bruciandolo in un falò pronunciando formule beneauguranti.
I falò accesi un po' ovunque in Europa durante la notte di San Giovanni erano simboli del fuoco solare, ne celebravano l’energia mostrando di volerla in qualche modo trattenere, sapendo che da questo giorno in avanti essa sarebbe andata invece progressivamente attenuandosi verso l’autunno. Attorno ai fuochi si danzava e si cantava e nella notte magica avvenivano prodigi: le acque sembravano parlare e le fiamme disegnavano nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il Male si dissolveva sconfitto. Nella veglia i fiori bagnati di rugiada brillavano alla luce dei fuochi e bagnarsi nella magica Rugiada DI San Giovanni o lavarsene almeno gli occhi al ritorno della luce era un gesto di purificazione.




Nel folklore superstizioso romanesco infine la “Notte delle Streghe” vedeva mamme e nonne indaffarate a mettere fuori della porta di casa una scopa di saggina e un barattolo di sale, due espedienti miranti a tenere impegnate le streghe a contare “zeppi di saggina e grani di sale” in modo che non entrassero in casa almeno fino all'alba quando la luce del sole le avrebbe costrette a ritornare di corsa al “noce di
Benevento” da dove si credeva provenissero. Se le streghe avessero voluto poi intrufolarsi dal camino avrebbero trovato a sbarrare il passo molla e paletta messe in croce.
A tavola era d’obbligo mangiare lumache. A ciò veniva attribuito un significato di rappacificazione, andavano mangiate con chi avevi del rancore o del disaccordo. Tutto pare perché l'intrecciarsi delle corna degli animaletti rappresenterebbe il darsi la mano, l'abbracciarsi.





[sintesi e rielaborazione di materiale tratto da Facebook/L’Antro celtico e da Romeo Busatti/Leggende romane]